Evoluzione Assistita, il contributo ad un’agricoltura più GREEN
31 Gen 2021
Queste tecniche studiate alla FEM permettono un miglioramento genetico veloce, preciso, e soprattutto come quello ottenuto tramite incrocio naturale. Si preserva la biodiversità agricola e la competitività delle imprese agricole. Insieme al dottor Claudio Moser, ricercatore alla Fondazione Edmund Mach e responsabile dei settori che riguardano la Genetica, la Genomica e la biologia delle piante da frutto, proviamo a capire quali possono essere i vantaggi, anche per il nostro Trentino. Questo il mio contributo per la rivista Cooperazione Trentina nel mese di gennaio 2021…
Sono le TEA, le Tecniche di Evoluzione Assistita, nuove tecnologie di miglioramento genetico che permettono di riprodurre in maniera precisa e mirata i risultati dei meccanismi alla base dell’evoluzione biologica naturale e che non comportano l’inserimento di DNA estraneo alla pianta. Tecniche “naturali”, dunque, anche se passano dal laboratorio: le modificazioni apportate, a differenza che negli Ogm transgenici, potrebbero avvenire spontaneamente in natura. Solo che nel caso delle TEA l’evoluzione della specie è assistita, appunto, dall’uomo. Una svolta “green” per fornire agli agricoltori piante o sementi e per farli ritornare protagonisti della ricerca senza che i risultati finiscano nelle mani di poche multinazionali proprietarie dei brevetti.
Se fin dai tempi antichi l’agricoltura si è sviluppata grazie alla selezione degli individui migliori e all’incrocio , oggi il miglioramento genetico indossa il camice, ed ha a disposizione diversi metodi, raggruppabili in tecniche di incrocio convenzionali, tecniche consolidate di modifica genetica, e nuove tecniche di incrocio.
Dottor Moser, quali sono i vantaggi dell’uso delle TEA in agricoltura nel nostro Paese?
«L’Italia ha un grande patrimonio di biodiversità agricola, una lunga tradizione di prodotti e di trasformazione che dev’essere tutelata. Pensiamo alle centinaia di varietà di vite per uva da vino: solo in Trentino, ad esempio lo sono il teroldego, il marzemino e il nosiola. Le TEA possono trovare svariati campi di applicazione e aiutarci a tutelare questo prezioso patrimonio. Ad esempio nella lotta alle malattie, come nel caso del pomodoro San Marzano colpito dalla virosi, il riso carnaroli colpito dal brusone, la sensibilità del broccolo romanesco alle larve della cavolaia, ecc.».
Le TEA note anche come NBT, acronimo di New Breeding Technologies, sono tecniche che permettono o di modificare in maniera precisa il DNA (in questo caso si parla di gene editing), o di introdurre un gene specifico (in questo caso si parla di cis-genesi, da cui deriva il termine cisgenetica). Attraverso le TEA si possono ottenere piante che resistono meglio alle malattie e che richiedono quindi un uso minore di agrofarmaci. Ma si possono avere anche sementi più efficienti nell’uso dei nutrienti e che richiedono quindi meno fertilizzanti. Le nuove colture possono resistere meglio agli stress ambientali, come le temperature elevate o la salinità del terreno, condizioni sempre più frequenti a causa dei cambiamenti climatici.
In Trentino, in quali ambiti le TEA possono portare maggior beneficio?
«Coltivazione della vite e del melo, innanzitutto, poiché la ricerca è più avanzata su queste due specie. Alla Fondazione Edmund Mach già da alcuni anni utilizziamo le TEA per ottenere varietà di vite più tolleranti alle malattie fungine oidio e peronospora e nuove varietà di melo che siano più tolleranti all’oidio e al colpo di fuoco batterico. Concentriamo gli sforzi per cercare di ridurre il numero dei trattamenti in campagna e aumentare la sostenibilità ambientale, sociale ed economica delle principali produzioni agricole del Trentino. Non sono escluse le altre culture, ma sarà necessario colmare alcune lacune di conoscenza prima di poter applicare le TEA a colture quali ad esempio i piccoli frutti.
Il mondo della ricerca e quello degli agricoltori sono ormai “alleati” e l’accordo “camici-trattori” dello scorso giugno ne è una testimonianza. Cosa ne pensa?
«È un bel segno di collaborazione verso un obiettivo comune, che è quello di una maggiore sostenibilità delle produzioni agrarie nella sua accezione più ampia. Va dato merito a Coldiretti di aver capito l’importanza di sostenere la ricerca e di cogliere le nuove opportunità che essa può offrire. Molta attenzione verrà anche dato all’aspetto della comunicazione, per far comprendere al produttore e al consumatore che stiamo facendo quello che abbiamo fatto da secoli (gli incroci per il miglioramento genetico) con degli strumenti più veloci e potenti. I prodotti che ne risultano sono gli stessi».
La vera “rivoluzione” sarà nel sostegno pubblico alla ricerca, ma servirà anche lungimiranza e fiducia da parte di imprese e privati?
«Il sostegno pubblico alla ricerca, soprattutto per quanto riguarda la cosiddetta ricerca di base, quella che apporta le conoscenze necessarie per la ricerca applicata, è necessario e fondamentale. Un forte ruolo lo gioca anche lo sviluppo tecnologico delle imprese e l’investimento del settore privato, che sa bene come individuare quali sono i bisogni specifici e le richieste del mercato. In Trentino il sostegno pubblico alla ricerca è in generale superiore a quello di molte altre regioni di Italia e di questo va dato merito alla governance provinciale. Anche FEM basa molte delle sue ricerche sul finanziamento della Provincia (circa il 75%), oltre che su fondi esterni e collaborazioni con altri istituti e servizi con partner privati. Speriamo che l’impatto della pandemia, che sicuramente ha colpito in maniera importante l’economia, non porti ad un forte taglio ai fondi per la ricerca. Se da un lato è nei momenti di crisi che bisogna investire sulle nuove idee, dall’altro sarà anche nostra responsabilità focalizzarci sulle tematiche più promettenti»
I prodotti agricoli ottenuti da tali metodologie ancora oggi non trovano una adeguata collocazione a livello normativo comunitario. Come mai?
«Nel caso delle TEA scontiamo ancora la coda della sfiducia nei confronti degli OGM, dopo i dibattiti accesi degli anni Duemila. Serve un dialogo costruttivo per spiegare all’opinione pubblica il potenziale delle TEA e soprattutto la loro sicurezza. E i ricercatori dovrebbero collaborare maggiormente con i professionisti della comunicazione per presentare in maniera non faziosa, comprensibile e trasparente i risultati ottenuti, le opportunità e le cose che ancora non conosciamo. Date queste premesse, affinché le TEA superino il “sentire comune” e vengano accettate e normate in maniera distinta rispetto agli OGM in Europa, sarà importante che i decisori politici e le comunità di consumatori capiscano che si tratta di prodotti uguali a quelli che si ottengono con il breeding tradizionale, in parole semplici quelli che già mangiamo tutti i giorni. Le TEA permettono di sfruttare tempi rapidi e di avere maggiore precisione. E’ importante che questa decisione sia presa dall’attuale Commissione europea sentito il Parlamento europeo, altrimenti il rischio di rimanere indietro come Europa sarà sempre più un dato di fatto».
A che punto è la ricerca in FEM su TEA?
«Una delle TEA più promettenti è sicuramente il CRISPR, una tecnologia che è valsa quest’anno il Nobel per la Chimica alla francese Emmanuelle Charpentier e all’americana Jennifer Doudna e che permette di tagliare e modificare il DNA in un punto preciso: si parla appunto di gene editing. Noi in FEM utilizziamo il CRISPR da alcuni anni per inattivare i geni di suscettibilità a oidio e peronospora in vite e a oidio e colpo di fuoco batterico in melo. Queste piante con delle piccolissime modifiche nel loro DNA, non vengono più riconosciute come ospite da questi patogeni fungini o batterici e risultano quindi più tolleranti a tali malattie. La ricerca è ancora in corso e richiederà alcuni anni per una sua messa a punto e per la sua applicazione sulle diverse varietà coltivate, però la strada è stata aperta e sembra promettente».
“Una pianta che si difende da sola” è un cambio epocale: saranno pronti gli agricoltori a “recepire”?
«Piuttosto direi che l’obiettivo è quello di ridurre sensibilmente il numero dei trattamenti con fitofarmaci, almeno della metà. Nel caso della vite e del melo, dove nei nostri ambienti sono necessari anche 15-20 trattamenti a stagione contro i funghi, poter arrivare a 4-5 trattamenti sarebbe un ottimo risultato. Abbiamo già visto negli anni recenti con i nuovi vitigni resistenti che l’assenza totale di trattamenti non è una buona strategia, perché mantiene alto il serbatoio di patogeni in campo e porta all’insorgenza di malattie che prima non si manifestavano (un esempio il legno nero nella vite). In questo senso sarà importante anche formare gli agricoltori quando questi materiali saranno disponibili, ma non prima di una decina d’anni».
In una più ampia prospettiva, cosa potrebbe accadere se in Italia non si potranno coltivare piante migliorate con le TEA, e in altri Paesi concorrenti sì?
«Italia, Francia e Spagna sono tra i maggiori produttori mondiali di vino e sono anche grandi produttori di mele. Sarà essenziale che l’adozione di viti e meli risultanti dalle TEA, sia condivisa a livello europeo, altrimenti si verificheranno delle forti asimmetrie economiche anche nel mercato europeo. Sono fiducioso però che sarà effettivamente così, visto la natura sovranazionale di queste decisioni. Per quanto riguarda altre nazioni come la Cina e gli Stati Uniti, per ora la loro produzione nel settore primario è destinata prevalentemente al mercato interno o almeno non a quello europeo».